Una resurrezione per non credenti

Articolo publicato sul giornale PENSIERO n. 11

“Don Alberto, potresti fare un articolo sulla resurrezione per i non credenti?” così mi è stato chiesto. La cosa mi ha subito intrigato molto, però ora mi domando: da dove posso partire? 

Mi viene in mente una storia; anni fa io e un uomo stavamo preparando il suo matrimonio; la sua  futura sposa era credente e lui invece no. Il futuro sposo mi disse: “Io non sono un non credente, perché in qualcosa credo, ho dei valori.”. Ci mettemmo a scegliere le parole giuste per esprimere, durante la celebrazione del suo matrimonio, anche il suo “credo” da non credente. Comincio ricordando questa storia perché trovo senso nello scrivere a chi non è d’accordo con me, solo se è un aprirmi ad un confronto e ad un arricchimento. Ora la sfida, che mi si presenta è scrivere senza sapere in cosa “crede” chi mi leggerà. Comincio con fare due affermazioni sulle quali penso possa esserci un accordo tra credenti e non credenti, e una terza affermazione che penso possa essere il punto di disaccordo: per aprire un dialogo vedo importante definire i punti in comune e quelli di divergenza.

1. La materia può risorgere. Credere questo è facile, visto che il corpo con la morte si decompone e gli stessi atomi e molecole possono andare a formare altri esseri viventi. 

2. Un uomo duemila anni fa è tornato in vita. Questa è un’affermazione su di un fatto del passato, per indagare il quale, ci servono le scienze storiche, si tratterebbe di una disquisizione per soli esperti. Per gli altri c’è il rischio di impugnare quanto dice l’esperto che difende la tesi di cui siamo già convinti, con il risultato di annullare la possibilità di dialogo e di confronto. 

3. Per i cristiani resurrezione vuol dire che un uomo morto duemila anni fa, è attualmente vivo e interagisce con noi, anche se non possiamo vederlo. I non credenti spesso dicono che questa convinzione sia prodotta dalla mente e non ci sia nessuna realtà, nessun Cristo vivo che la causi, che non ci sia perciò nessuna vera relazione con un’altra persona spirituale, ma sia qualcosa di autoprodotto, un’illusione. Questa critica mi piace e mi stimola, perché le illusioni e le autosuggestioni esistono e ne siamo sempre esposti. 

Cosa distingue un’illusione che ci creiamo da soli da qualcosa frutto di una relazione vera? Nella mia esperienza tutto ciò che ci inventiamo per non riconoscere la realtà è ripetitivo, resistente al confronto e al cambiamento, molto spesso ossessivo, tende a costruire un sistema di pensiero centrato su se stessi, a volte sulle proprie paure e insicurezze. Invece ciò che viene generato in noi da una relazione con un’altra persona è segnato dallo stupore. Compare in noi qualcosa di nuovo, che come effetto ci proietta al di fuori di noi stessi, a vivere. È una sorpresa che all’inizio può anche produrre paura, ma se accolta è rigenerante, può ridarci vita. È l’esperienza di rivivere, di veder rivivere parti di noi, che avevamo spento e fatto morire. Su queste esperienze di ritorno alla vita, alla vitalità mi piacerebbe avere un confronto con tutti, credenti e non credenti, discutendo anche se ciò sia qualcosa che l’uomo può prodursi da solo o se sia frutto della relazione con Cristo.

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