Si seppe che era in casa
Insegnamento 2025/15 del 12 ottobre 2025 “Si seppe che era in casa” Mc 2,1-2
Cari amici,
stiamo vivendo un periodo in cui vedo particolarmente importante riscoprire i fondamenti della vita della cellula, ed uno di questi è il fatto che vi riunite ogni settimana in una casa privata e non in parrocchia.
La scelta di fare l’incontro di cellula in una casa privata fu fatta come apertura al quartiere; la casa è un luogo familiare, vicino a dove vive la gente, è l’ideale per invitare le persone che si stanno riavvicinando alla fede.
È perciò fondamentale che nell’incontrarvi non siate presi dal godimento della bellezza di stare assieme, ma già coltiviate il desiderio e l’attesa di poter offrire ad altri ciò che condividete.
Ho immaginato un paragone, la cellula aperta al quartiere è come una coppia che si sposa; sicuramente il primo frutto è il godimento della vita comune, ma poi la natura stessa spinge ad aprirsi all’arrivo di nuove vite, e questo già prima che i figli ci siano. Il desiderio che qualcuno goda della bellezza di cui tu stai godendo è nella natura stessa dell’uomo.
Questo desiderio, questa spinta naturale, come tutte le realtà dell’animo umano, può venire anche soffocata, penso alle coppie, a quello che viene detto loro, sulla fatica di crescere i figli, sull’incertezza del futuro e così via; ci si può spaventare e pensare che non ne valga la pena. Io stesso da giovane non sentivo questa spinta e non volevo mettere al mondo dei figli, e far vivere a loro un’infanzia e un’adolescenza che, per come l’avevo conosciute io, non erano una cosa buona.
Nella fede credevo a Dio, ero pronto a dire di sì a ciò che lui voleva, al dono della vita, ero fiducioso e disposto all’esperienza del matrimonio, nella prospettiva anche di far nascere dei figli. Questa ricerca si interruppe quando decisi di diventare prete, quando a modo mio risolsi la questione, modo che a pensarci ora un po’ mi fa sorridere e un po’ mi fa piangere: di fatto come prete non avrei fatto figli, al massimo avrei aiutato i figli degli altri, così per me non si poneva più il problema di dover decidere se fosse buono generare vite. Chiunque fosse già nato aveva diritto al mio amore e quella era la mia vocazione.
Però il desiderio naturale a dare la vita è importante per la nostra salute spirituale, il mio invece era soffocato, ero menomato e neanche me ne accorgevo. Me ne accorsi verso i cinquant’anni quando lo sentii per la prima volta.
Ho visto che Dio è buono, io ho seguito la sua guida e mi è capitato di provare gusti e gioie che non conoscevo, che vedevo naturali negli altri, dai quali però mi sentivo escluso, li ho capiti solo quando si sono accesi in me per la prima volta.
Vi ho fatto questa confidenza perché l’animo è così, ha bisogno di cura. Se non c’è una giusta cura, anche l’accoglienza può suscitare in noi delle fatiche e resistenze: vivere la cellula come luogo dove accogliamo l’altro come Gesù ci ha comandato, è la cura per l’amino!
Per me il vivere l’amore verso di voi e verso le persone che incontro, ha fatto rinascere la spinta naturale al godere nel dare vita ad un’altra persona, cosa che le esperienze che avevo vissuto mi avevano spento. Quella di creare un clima familiare e accogliente in cellula è una chiamata che Gesù ci fa, vi incoraggio a rispondere di “sì” senza paura, orientate i vostri pensieri all’arrivo di chi Dio vorrà inviarvi, coraggio vi invito di cuore a vivere l’incontro con questa speranza: l’arrivo di qualcuno che Dio vorrà mandarvi.

